Nel 2014 chiesi al Dott. Giuseppe Nacci di Trieste, specialista in Medicina Nucleare e amico di vecchia data, un parere sull’esito della mia scintigrafia del cuore.
Di seguito potete leggere la sua risposta:
Osservazioni cliniche su un caso di rigenerazione completa della parete cardiaca post-infartuale in paziente di 56 anni
Giuseppe Nacci, M.D.
Il 5 dicembre 2012 la prestigiosa rivista scientifica internazionale Nature pubblicava una ricerca, sviluppata dai laboratori dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste, sull’interessante questione di come promuovere o favorire la ricrescita in vivo delle cellule cardiache, aprendo così grandi speranze per diversi milioni di pazienti che, in tutto il mondo, soffrono di malattie collegate all’infarto, fra cui sopratutto lo Scompenso Cardiaco, cioè la perdita funzionale di una parte della parete cardiaca, ridotta ormai ad una cicatrice di tessuto inerte, poiché interamente costituita da cellule fibrose al posto di quelle cardiache, andate ormai perdute.
Come ampiamente noto a tutti, oggi le malattie cardiache sono la prima causa di morte in America e in Europa, coprendo oltre il 40% dei decessi complessivi.
Ogni giorno, soltanto negli Stati Uniti, almeno tremila americani subiscono un infarto (National Heart, Lung and Blood Institute, Morbility and Mortality; 2002 Chart Book on Cardiovascular, Lung and Blood Diseases, National Institutes of Health, Bethesda, 2002), e quasi altrettanti in Europa.
Di essi, una buona parte morirà negli anni successivi, nonostante le migliori cure farmacologiche e strumentali oggi disponibili e che assorbono, almeno in Italia, oltre il 2% del Prodotto Interno Lordo (P.I.L.), soprattutto per quanto riguarda la cura dello “Scompenso Cardiaco”, una delle conseguenze più temute dell’infarto, poiché a rischio di successiva rottura oppure, molto più semplicemente, la principale causa di Arresto Cardiaco improvviso per de-sincronizzazione dell’impulso elettrico che manteneva la funzionalità di pompa cardiaca del cuore: l’anomalo tessuto cicatriziale può infatti provocare un corto-circuito locale nelle rete bio-elettrica dei miocardiociti, che manda in totale arresto il battito cardiaco, fermando così il cuore.
In altri casi, invece, il paziente morirà a causa di altri successivi infarti, oppure per altre complicanze minori.
Come ben noto a tutti, l’infarto è dovuto alla formazione di una placca nelle arterie del cuore (coronarie), costituita da uno strato grasso di proteine, di lipidi e di cellule immunitarie, che danno la strana sensazione, al tatto, di un “pezzettino di torta alla crema ancora calda”, che i chirurghi apprezzano quotidianamente nelle nostre sale operatorie scorrendo il dito all’interno della coronaria aperta.
Un’eccessiva formazione di queste placche può provocare una grave riduzione del flusso sanguigno, determinando così la classica sensazione di dolore al petto, tristemente nota a tutti come “Angina pectoris” .
Non tutti sanno però che molto difficilmente questa placca sarà causa dell’infarto (Esselstyn CJ: Lecture: Revering Heart Disease, 5 December 2002, Cornell University, Ithaca, NY, 2002 ; Antman E.M.: Acute myocardial infarction, in : Braunwald E: Heart Disease, Vol. II, Quinta Edizione, W.B. Saunders Company, Filadelfia, PA, 1997, pp.: 1184-1288).
Oggi sappiamo infatti che la maggior parte degli infarti deriva invece da placche ateromatose che ostruiscono meno del 50% dell’arteria, e che pertanto non potevano aver determinato, fino a quel momento, il sintomo dell’Angina Pectoris o di aver determinato un alterato segnale all’Elettro-Cardio-Gramma (ECG).
Queste piccole placche sono invisibili alle eventuali Coronarografie diagnostiche, cioè a quelle particolari Radiografie delle Coronarie che vengono condotte con impiego di pericolose iniezioni di un mezzo di contrasto a base di Iodio, e che presentano il rischio di un esito letale in una certa percentuale di casi, molto bassa, ma non per questo del tutto trascurabile.
Come ben riportato nel libro “The China Study”, scritto dal grande scienziato americano Campbell, risulta che dai lavori di Ambrose, Forrester ed Esselstyn è ormai acquisito il fatto che sono proprio il modesto o il medio accumulo di placche ateromatose, con ostruzione di meno del 50% del vaso coronario che determina il vero rischio di un evento letale, con distacco improvviso di una piccola placca e sua successiva ostruzione a valle in uno dei tanti rami secondari dell’arteria coronaria, e quindi la morte per asfissia di una certa regione della parete cardiaca, nel classico quadro clinico di Infarto Miocardio Acuto (IMA) (Esselstyn CJ: Lecture: Revering Heart Disease, 5 December 2002, Cornell University, Ithaca, NY, 2002; Ambrose JA: Can we predict future acute coronary events in patients with stable coronary artery disease ?, JAMA, Vol. 277, 1997, pp: 343-344: Forrester J.S.: Lipid lowering versus revascularization: an idea whose time for testing has come, Circulation, vol. 96, 1997, pp.1360-1362).
Benché oggi soltanto il 15% dei pazienti infartuati, ma giunti ancora vivi in ospedale, muoia nei giorni successivi, rispetto al 38% degli anni Settanta, non abbiamo sostanzialmente migliorato il quadro di questa malattia, nonostante l’avanzamento incredibile della Chirurgia, che resta ancora nell’immaginario collettivo di tutti noi l’unica possibilità di salvezza, anche se ormai è pienamente documentato che i pazienti che si sottopongono ad un intervento di Bypass non hanno un numero più ridotto di infarti rispetto ai pazienti non operati (Forrester J.S.: Lipid lowering versus revascularization: an idea whose time for testing has come, Circulation, vol. 96, 1997, pp.1360-1362).
Migliori risultati si hanno invece con le più recenti “Angioplastiche”, basate sul “palloncino-stent” che viene gonfiato nell’arteria occlusa per schiacciare contro la parete il “pezzettino di panna alla crema” che la stava occludendo, riallargando così l’arteria per circa il 60% dei casi, mentre nella restante parte tornerà di nuovo a richiudersi entro 5-6 mesi dall’intervento.
Operazione chirurgica comunque pericolosa, poiché almeno il 5-6% dei pazienti che si sottopongono a questo genere di modalità cardio-chirurgica non si risveglierà dal proprio letto operatorio, oppure gli verrà comunicato di aver avuto un secondo infarto durante l’intervento (Lincoff A.M.: Interventional catherization techniques, pp. 1368-1369, in Braunwald E.: Heart Disease: a Textbook of Cardiovascular Medicine, Vol.2, Quinta Edizione, W.B. Saunders, Filadelfia, PA, 1997, pp. 1366-1391).
Con i pazienti sottoposti a “Bypass”, e quindi con apertura del torace e intervento chirurgico vero e proprio a “cuore aperto”, il rischio di morte intra-operatoria cala al 2%, ma quasi l’80% dei pazienti subiscono danni al cervello da micro-embolie avvenute durante la procedura (Shaw P.J.: Early intellectual dysfunction following coronary bypass surgery, Quarterly J. Med., Vol. 58, 1986, pp. 59-68), e comunque la metà di loro morirà entro dieci anni esattamente nella stessa percentuale dei pazienti non sottoposti invece a questo genere di intervento chirurgico particolarmente “invasivo” (Kirklin J.W.: Summary of a consensus concerning death and ischemic events after coronary artery bypass grafting, Ciculation 79, Suppl.1, 1989, pp 181-191).
Purtroppo, se può risolvere il rischio di un’occlusione, almeno temporaneamente, questa modalità di intervento chirurgico non può far nulla nei confronti delle stenosi più piccole del 50% del diametro vasale, e che sono invece la vera causa dei più frequenti infarti successivi (Forrester J.S.: Lipid lowering versus revascularization: an idea whose time for testing has come, Circulation, vol. 96, 1997, pp.1360-1362).
Stando così l’attuale “stato dell’arte” della medicina mondiale in ambito cardiaco, l’articolo pubblicato su Nature del 2012 sulla possibile rigenerazione della parete cardiaca dopo l’infarto aveva quindi fatto subito notizia, perché circa la metà delle persone infartuate tendono poi a sviluppare un deficit funzionale importante del loro cuore malato, giungendo così al cosiddetto “Scompenso Cardiaco”, malattia di cui oggi sono affetti in tutto il mondo occidentale oltre 15 milioni di persone.
Su un totale di circa 4 miliardi di cellule miocardiche che pulsano sincronizzate perfettamente, sappiamo che un esteso evento infartuate è in grado di uccidere anche fino a mezzo miliardo di queste nobili cellule.
La Medicina Ufficiale afferma che il cuore non è in grado di riparare questo danno con nuove cellule cardiache, e può soltanto sostituire il nobile tessuto miocardico andato perduto con volgari cellule comuni e tessuto connettivale di cicatrizzazione, o comunque di consistenza fibrosa che rischierà poi di evolvere in un “aneurisma di parete”, e poi a rompersi, squarciando la parete miocardica.
Tornando quindi all’importante risultato ottenuto dai ricercatori triestini della ICGEB sulla replicazione cellulare del cuore, ben evidenziato dalla prestigiosa rivista internazionale Nature, un successivo articolo pubblicato nel dicembre 2013 sul giornale medico “Amici del Cuore”, intitolato “I frutti della ricerca”, così veniva riassunto l’importante risultato raggiunto dagli scienziati della ICGEB: “…Grandi sono stati i progressi della Farmacologia, dei dispositivi elettrici impiantabili e della Cardio-Chirurgia, ma l’impatto del problema rimane elevato. Brillanti Studi hanno dimostrato che circa la metà dei cardiomiociti che formano il nostro cuore al momento della nascita sono gli stessi presenti alla nostra morte, pulsando miliardi di volte e accompagnandoci per tutta la nostra vita. Ma l’altra metà viene rinnovata, almeno una volta. I ricercatori triestini della ICGEB hanno guardato pertanto alla capacità rigenerativa che esiste (tasso di proliferazione di circa 1% fino a 25 anni di età, e di circa lo 0,25% successivamente), anche se insufficiente, e lo hanno fatto sfruttando i microRNA (piccole sequenze di RNA), che rivestono una funzione regolatoria di primaria importanza all’interno della Biologia Molecolare di ogni specie.
Si è così scoperto che 40 microRNA sono effettivamente in grado di stimolare la proliferazione delle cellule adulte del cuore. Alcuni tra questi 40 microRNA sono proprio quelli normalmente attivi durante lo sviluppo embrionale, quando il cuore si forma, ma la loro espressione e capacità di replicazione si spegne immediatamente dopo la nascita. Lo studio mediante Eco-Cardiografia ha dimostrato che la funzione di questi cuori si manteneva, e ad un livello microscopico si è visto che sono stati in grado di rimettere in moto la proliferazione dei cardiomiciti, permettendo quindi così di riparare il danno non più con una cicatrice inerme (costituita cioè da semplice tessuto fibroso) ma con nuovo tessuto miocardio (tessuto nobile). I risultati straordinari di questa ricerca potrebbero avere, se confermati sull’uomo, straordinarie ricadute applicative. Nel percorso di sviluppo e possibile trasferimento all’uomo di questa ricerca, gli studi proseguono sperimentando le osservazioni cliniche anche su mammiferi più grandi come i maiali, in collaborazione con importanti gruppi nazionali ed internazionali. L’auspicio è che un giorno si possano testare e sviluppare veri e propri farmaci che, inoculati dal cardiologo nel cuore dell’uomo subito dopo un infarto o nei pazienti con Scompenso Cardiaco, potrebbero stimolare la rigenerazione di porzioni malate del cuore riparando le parti danneggiate. “
Il testo pubblicato nel dicembre 2013 su “Amici del Cuore: i frutti della ricerca”, così concludeva : “ ..ai numerosi pazienti che, dopo la pubblicazione dello studio pongono domande un messaggio di chiarezza:
1) la ricerca e le osservazioni non sono ancora applicabili all’uomo
2) i risultati sono certamente innovativi e promettenti. Favoriamo con i Fondi per la Ricerca questi importanti Studi, manifestiamo gratitudine a questi finanziatori. Lasciamo che gli esperimenti proseguano…”.
Tutto ciò ricorda molto le centinaia e centinaia di comunicazioni scientifiche che dagli anni Ottanta dimostrano in maniera incontrovertibile che le semplici vitamine uccidono effettivamente le cellule del cancro, mediante APOPTOSI, senza provocare alcun danno alle cellule sane, a differenza della Chemio-Terapia, determinando così grandi attese da parte della pubblica opinione, puntualmente poi smentita da una certa “incapacità” ad applicare questi risultati della Ricerca…
Questo articolo sulla grande ricerca triestina dell’ICGEB di Trieste mi fece quindi riflettere.
Negli anni Novanta avevo svolto la Specializzazione in Medicina Nucleare presso l’ospedale H. San Raffaele di Milano, dal 1992 al 1996.
In quegli anni gran parte del lavoro consisteva nell’eseguire scintigrafie miocardiche in pazienti colpiti da infarto, essendo considerata tale metodica come la più accurata nello scoprire quadri ischemici di sofferenza cardiaca e nel monitorare la zona infartuata.
Ciò permetteva quindi di indirizzare i Cardiologi ad un miglioramento della terapia farmacologica.
In pratica i pazienti facevano due esami scintigrafici a distanza di una settimana l’uno dall’altro, e in due situazioni molto diverse: quella in cui eseguivano uno sforzo fisico massimale, sotto ECG e su tappeto rotante, e quella in cui ricevevano l’iniezione del tracciante radioattivo in situazione di assoluto riposo.
Mentre nel cuore sano non vi sono differenze di captazione del tracciante a base di Tecnezio radioattivo, poiché la perfusione del sangue nel cuore si mantiene comunque costante, nei pazienti con sofferenza miocardica da precedente infarto e con deficit perfusorio con evidente Angina pectoris, o con tracciato ECG anomalo, si verificava sempre una differenza evidente di perfusione del tracciante radioattivo nell’esame scintigrafico eseguito sotto sforzo, rispetto invece alla prova scintigrafica eseguita a riposo, e che poi evidenziavo alle immagini tomografiche di ricostruzione e di sovrapposizione delle due scintigrafie, immancabilmente sempre diverse l’una dall’altra.
In tutti questi esami, svolti per quasi cinque anni, non ebbi mai la sorpresa di notare la guarigione completa di un cuore umano post-infartuato: vi erano sempre quadri peggiorativi oppure, nei casi più fortunati, si osservava una stabilizzazione della malattia o una parziale regressione del quadro ischemico.
Se un paziente fosse migliorato dal quadro post-infartuale fino a ritornare con un cuore perfettamente sano e totalmente privo di cicatrice necrotica, lo avremmo tutti immediatamente notato e soprattutto segnalato a chi di competenza, poiché sarebbe equivalso alla dimostrazione scientifica che i costosissimi farmaci o gli interventi di Angioplastica o di Bypass potevano guarire perfettamente il cuore “sfigurato” da un infarto.
E’ ben noto, del resto, che lo Stato Italiano spenda ogni anno oltre cinque miliardi di Euro soltanto per le cure farmacologiche legate all’apparato cardio-circolatorio (VEDI CAP. Sesto del libro : “Come affrontare il Diabete” Editoriale Programma Padova).
Ma, in cinque anni di lavoro svolto a Milano, non ebbi mai modo di osservare un simile evento, e tutta la letteratura medica che seguivamo dalle riviste scientifiche europee o americane confermava sempre che da un infarto non si tornava indietro fino a riottenere un cuore perfettamente normale, privo di cicatrici fibro-necrotiche, e persino senza alcun segno di ischemia residua, quest’ultima ben evidenziabile dalla sovrapposizione dei due esami scintigrafici precedentemente descritti, di cui uno eseguito sotto sforzo massimale e l’altro condotto invece in condizioni di assoluto riposo.
Fu verso il 1993, un anno dopo il mio arrivo a Milano, che un gruppo di colleghi iniziò a sottoporre i pazienti infartuati ad un esame scintigrafico molto particolare, in cui veniva iniettato del glucosio radioattivo (F18-FDG) rispetto invece al solito Tecnezio degli altri esami scintigrafici.
Come venni subito a sapere, questo serviva ad evidenziare la presenza di cellule “staminali” all’interno della zona necrotica dell’infarto, allo scopo di selezionare i pazienti che avrebbero potuto trovare giovamento da un intervento chirurgico di By-pass che, per quanto rischioso, poteva risultare utile nel recupero parziale di quel tessuto ormai fibroso se vi fossero ancora state queste strane cellule.
L’idea era semplice: a seguito dell’intervento di By-pass, queste cellule avrebbero subito ripreso a proliferare, grazie al nuovo apporto di sangue fresco, e si sarebbero forse trasformate in cellule miocardiche “nobili” recuperando almeno parzialmente una parte della parete miocardica infartuata.
Gli stessi colleghi mi informarono anche dell’estrema importanza di sottoporre a By-pass i pazienti il più presto possibile, poiché queste cellule staminali non sopravvivevano oltre il sesto mese successivo all’infarto, e loro non sapevano quali farmaci dare per “stimolare” la ricrescita cellulare, pertanto mi chiesero se avevo qualche idea da suggerire.
Data l’estrema difficoltà di approccio alla questione, non seppi dare alcun consiglio.
Per molti anni, mi ritornò in mente quella strana sperimentazione e soprattutto di cosa si sarebbe potuto aggiungere ai soliti farmaci per migliorare la ripresa funzionale di queste strane cellule “staminali”.
Fu soltanto vent’anni dopo, nel maggio del 2014, che venni a conoscenza di un incredibile evento, argomento di codesta comunicazione scientifica.
Nell’agosto del 2009, un paziente di circa cinquant’anni era andato incontro ad un Infarto Miocardico Acuto (IMA), a seguito del quale era stato sottoposto ad Angioplastica per rivascolarizzazione di uno dei tre principali vasi coronarici coinvolti, e quindi a due esami successivi di Risonanza Magnetica di valutazione.
La prima Risonanza Magnetica (VEDI Allegato 1), eseguita in data 13 ottobre 2009, per “…ricerca di ischemia miocardica inducibile in paziente con cardiopatia ischemica post-infartuale…” evidenziava :
“…Ventricolo sinistro di normali dimensioni, con funzione contrattile globale conservata (FE=60%). Ipocinesia e assottigliamento della parete anteriore media (5 millimetri); normali spessori della parete antero-basale (10 millimetri) e delle altre pareti cardiache (parete inferiore = 10 millimetri; parete settale = 11 millimetri, parete laterale = 8 millimetri). Lo studio di perfusione da stress farmacologico (Dipiridamolo 10 mg/2 ml, 67 mg E.V.; Atropina 1 mg/1ml fiala E.V., e Aminofillina 240 mg ¼ fiala E.V.) ha mostrato un’area di ipoperfusione a livello della parete antero-basale, indicativa di Ischemia Inducibile. Nelle scansioni tardive: area di iperaccumulo di MdC a livello della parete anteriore media che coinvolge oltre il 50% dello spessore parietale.
Conclusione: Ischemia Inducibile in sede antero-basale in Paziente con pregressa necrosi transmurale della parete anteriore media.
Ma una seconda Risonanza Magnetica (VEDI Allegato 2), eseguita nello stesso ospedale il 15 aprile 2001, due anni dopo una pesantissima terapia multi-vitaminica, condotta ai limiti della sopportabilità fisica di chiunque, dimostrava che la NECROSI INFARTUALE risultava scomparsa:
“…Ventricolo sinistro di normali dimensioni, con funzione contrattile globale conservata (FE= 53%). Non alterazioni della cinetica segmentarla sia a riposo che durante stress. Spessori parietali nella norma (spessore parete anteriore = 7,5 millimetri, spessore parete inferiore = 8,2 millimetri; spessore parete settale = 9,8 millimetri; spessore parete laterale = 7,7 millimetri). Lo studio di perfusione da stress farmacologico (Dipiridamolo 10 mg/2 ml, 0,84 mg/Kg E.V..; Atropina 1 mg/1ml fiala E.V., e Aminofillina 240 mg ¼ fiala E.V.; Mdc: Omniscan 0,5 millimoli/millilitro, 0,2 cc/Kg) NON ha mostrato aree di ipoperfusione, indicative di Ischemia Inducibile. NON aree di iper accumulo di MdC nelle scansioni tardive.
Conclusione: ventricolo sinistro con funzione sistolica globale conservata. Assenti aree di Ischemia Inducibile NON aree di NECROSI.
Infine, nel 2014 veniva eseguita una Scintigrafia miocardica con Tecnezio radioattivo (VEDI Allegato 3a, 3b, 3c, 3d), alla ricerca di zone ischemiche residue, e di aree di necrosi post-infartuali.
“…L’indagine scintigrafica, eseguita con protocollo Stress-Rest e dopo test ergometrico massimale, negativo per ischemia miocardica inducibile, mostra un lieve deficit di perfusione, di tipo reversibile, in sede infero-laterale basale. L’analisi funzionale con Gated Spect mostra: ESV di volume regolare, EFV globale nella norma. Valida cinetica parietale segmentarla. Esame compatibile con lieve ischemia miocardica inducibile a livello della parete infero-laterale basale. Bassa probabilità di ischemia miocardica inducibile in aree remote. Conservata la funzionalità del ventricolo sinistro…”
Dalle carte inerenti al tipo particolare di dieta e di terapia farmacologica seguita dal paziente, la mia conclusione è che il paziente abbia notevolmente migliorato la vecchia dieta Ornish.
Quest’ultima venne introdotta nel 1990 dal noto cardiologo americano, il dott. Dean Ornish, il quale pubblicò su Lancet un importante Studio, dove dimostrò la possibile regressione dei danni cardio-vascolari mediante una semplice dieta, al posto dei farmaci (Ornish D: Can lifestyle changes reverse coronary heart disease ? The Lancet, 1990, 336, pp: 129-133, 1990 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1973470
http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PII0140-6736(90)91656-U/abstract).
In questo Studio vennero presi due gruppi di pazienti, uno dei quali iniziò una dieta vegetariana e priva di farmaci.
Questi 28 pazienti vennero così confrontati dopo un anno con il secondo gruppo di pazienti che aveva invece mantenuto la solita terapia farmacologica con la solita alimentazione libera, a base di carne, uova, latte, dolci, etc…
Il confronto dimostrò che circa l’80% dei pazienti del primo gruppo avevano allargato le proprie coronarie di circa il 3-4% , mentre il secondo gruppo le aveva ristrette di un valore simile (3-4%), dimostrando quindi, nel primo gruppo, che la dieta vegetariana poteva far regredire le placche di aterosclerosi, dopo un solo anno di dieta corretta.
Inoltre, nel primo gruppo di pazienti si registrò la riduzione del 91% della frequenza di Angina pectoris, del 42% della durata dell’Angina pectoris, e del 28% della severità dell’Angina pectoris.
Viceversa, nel secondo gruppo di pazienti, trattati con farmaci e alimentazione tradizionale si ebbe un incremento del 165% della frequenza di Angina pectoris, un incremento 95% della durata dell’Angina pectoris, e un incremento di circa il 40% della severità dell’Angina pectoris.
L’Angiografia coronarica (X-Ray sulle Coronarie) dimostrò nel gruppo vegetariano una regressione delle stenosi statisticamente significativa, rispetto invece ai pazienti trattati con farmaci e con alimentazione libera, dove venne dimostrata una progressione dal 62% al 64% delle stenosi coronariche.
Dopo 5 anni, la percentuale di miglioramento era addirittura salita a quasi il 100% dei componenti del primo gruppo (Gould KL: Changes in myocardial perfusion abnormalities by positron emission tomography after long-term intense risk factor modification , JAMA, 274, pp: 894-901, 1995 http://circ.ahajournals.org/cgi/content/short/91/8/2274 )
L’importante lavoro di Ornish, condotto ben 20 anni fa, non ha comunque modificato di un punto le abitudini alimentari degli Americani e degli Europei, che continuano tuttora ad affidarsi ai farmaci per tentare una via di guarigione dalle malattie cardio-vascolari.
Gli interventi di Bypass e le Angioplastiche con palloncino-stent sulle arterie coronariche sono fatti per trattare gravi stenosi coronariche (Forrester J.S.: Lipid lowering versus revascularization: an idea whose time for testing has come, Circulation, vol. 96, 1997, pp.1360-1362), ma l’85% dei casi di Infarto Miocardico Acuto sono dovuti alla rottura di piccole placche instabili, che non sono visibili sulle Coronarografie.
Nei lavori di Ornish NON vi era stato però il pieno regresso delle aree necrotiche infartuate, ma soltanto una parziale regressione.
In questo caso, invece, avevo sotto gli occhi due Risonanze magnetiche e una Scintigrafia miocardica che dimostravano in maniera inoppugnabile che “Qualcosa” aveva stimolato le cellule staminali, verosimilmente ancora presenti nell’area infartuata, e che questo “Qualcosa” doveva aver agito fin dai primi mesi di “cura”.
La mia opinione è che ciò possa essere inquadrabile in diverse centinaia di vitamine utilizzate dal paziente, fra cui forse anche quelle contenute nell’Aloe species, volendo tenere conto dei circa 5.000 pazienti cardiopatici trattati da Agarwal nel 1985 proprio con tale pianta, pur non potendo escludere altri composti fitoterapici a me sconosciuti.
L’Aloe species ha infatti già dimostrato di essere molto efficace nella cura delle malattie cardiache, come ben evidenziato dallo stesso Agarwal (Agarwal O.P: Antidiabetic activity of Aloe: preliminary clinical and experimental observation, Horm. Res. Vol. 24, No.4, pp.: 288-294, 1985; Agarwal O.P: Prevention of Atheromatous Heart Disease, Angiology, The Journal of Vascular Disease, 36, pp: 485-492, 1985 http://ang.sagepub.com/content/36/8/485.abstract).
In questo vecchio Studio pioneristico il grande scienziato indiano monitorò l’utilizzo dell’Aloe vera su ben 5.000 soggetti, molti dei quali affetti da Diabete, documentando la riduzione degli episodi di Angina pectoris (dolore toracico acuto al Cuore, da sofferenza di circolo coronarico).
Osservò inoltre che il Metabolismo lipidico dimostrava chiaramente il netto decremento dei livelli ematici di Colesterolo Totale e dei Trigliceridi, e viceversa determinava l’incremento del Colesterolo “buono” (HDL) nel sangue.
Tutti i dati numerici relativi allo Studio sono riportati nella Tabella 1.
Tab.1: Effetti della terapia con Aloe vera su Diabete Mellito di Secondo Tipo
su 5.000 soggetti studiati, di cui 3.167 diabetici (76,6% maschi 23,4% femmine)
Glicemia a digiuno Glicemia post-prandiale
Squilibrio lieve | Squilibrio marcato | Squilibrio lieve | Squilibrio marcato |
(110-115) | (116-150) | (161-250) | (251-400) |
64,6% | 35,4% | 63,9% | 36,1% |
Ai pazienti venivano consegnati periodicamente 100 grammi di succo di Aloe; veniva poi insegnato loro come mescolarla alla farina con cui preparare in casa il loro pane, che mangiavano poi a pranzo e a cena; ai pazienti fu prescritto un regime dietetico stretto, e venne anche proibito di assumere bevande alcoliche di qualsiasi tipo.
La cura con il pane addizionato con il succo di Aloe vera ebbe dei risultati positivi tangibili già dopo 3 mesi: il 94,4% dei diabetici presentava già una Glicemia normale, e solo il 5,6% aveva ancora valori di zucchero al di sopra della norma.
In merito all’aspetto cardio-vascolare, una prima prova di efficacia la si ebbe dopo circa un anno dall’inizio delle cure, quando si valutò a tutti questi pazienti l’Elettro-Cardio-Gramma (ECG), effettuato durante un Test da Sforzo al tappeto scorrevole: prima di iniziare la cura tutti i cardiopatici presentavano i classici segni d’Ischemia che, nel 56,4% di questi casi, interessava la parete anteriore del Cuore e nel restante 43,6% la parete inferiore. Quando però questo esame venne ripetuto dopo un anno di cura con Aloe vera, solo il 7% dei casi presentavano ancora segni d’Ischemia.
E’ quindi estremamente importante sottolineare che nella grande maggioranza dei pazienti, superiore addirittura al 90%, cessarono gli attacchi di Angina pectoris (dolore toracico) dovuti a Ischemia miocardica.
Risultati altrettanto positivi si ebbero per il Colesterolo Totale e i Trigliceridi.
Dopo tre mesi di terapia, il 90% circa dei pazienti mostrava valori di grassi nel sangue notevolmente ridotti e rientrati nei limiti della norma.
Questo risultato è particolarmente importante perché all’inizio dello Studio tutti i pazienti presentavano valori aumentati di Colesterolo Totale e di Trigliceridi (VEDI Tabella 2).
Tab. 2: Andamento del profilo lipidico dopo terapia con Aloe vera
Colesterolo
Totale Iper-Colesterolemia
Valori iniziali
Totale: 5.000 pazienti |
Lieve | Moderata | Marcata |
100% | 1.912 (38,2%) | 2.258 (45,1%) | 830 (16,6%) |
Dopo 3 mesi di cura |
Presentavano valori ancora alti |
Presentavano valori ancora alti |
Presentavano valori ancora alti |
5.000pazienti (100%) | 143 (2,9%) | 171 (3,4%) | 34 (0,7%) |
Trigliceridi Iper-Trigliceridemia
Valori iniziali
Totale: 5.000 pazienti |
Lieve | Moderata | Marcata |
100% |
1.824
(36,5%) |
2.416
(48,3%) |
760
(15,2%) |
Dopo 3 mesi di cura |
Presentavano valori ancora alti |
Presentavano valori ancora alti |
Presentavano valori ancora alti |
5.000 pazienti (100%) | 191
(3,8%) |
81
(1,6%) |
76
(1,5%) |
In pratica, la cura con l’Aloe vera (che si aggiungeva a una dieta mirata a far scendere il Colesterolo), aveva eliminato quasi del tutto il principale squilibrio che esponeva questi pazienti al rischio di un Infarto Miocardico Acuto o di un altro evento cardio-vascolare.
L’Aloe vera aggiunta alla dieta ottenne effetti molto positivi sul Colesterolo, poiché tre mesi di terapia bastarono per riportare i suoi valori alla normalità in circa il 93% dei pazienti: in 4.642 casi su 5.000 fu possibile diminuire i valori del Colesterolo “cattivo” (LDL) che avrebbe provocato altrimenti il restringimento delle arterie, e fu possibile aumentare il Colesterolo “buono” (HDL) che protegge invece le arterie.
Un fatto non marginale, è che a differenza dei tanti altri Studi internazionali condotti sempre con i farmaci di sintesi chimica, di tutti i 5.000 partecipanti a questo Studio, nessuno di essi è deceduto nei cinque anni di osservazione.
Questa Ricerca, seria e indipendente, dimostrò inequivocabilmente che l’Aloe vera poteva essere usata con effetti positivi nelle cardiopatie di origine aterosclerotica.
Purtroppo non è noto se vi sia stata regressione, anche parziale, delle zone infartuate, ma il sospetto è rimasto.
Tornando così alla storia del paziente italiano, questi mi poneva la domanda sulla causa del suo infarto, nei limiti di quanto possibile.
Tutto ciò richiese, da parte mia, la seguente analisi che riportiamo qui di seguito, e da cui risulta ipotizzabile identificare nei “Grassi Idrogenati” i responsabili dell’Infarto Miocardio Acuto avvenuto nell’agosto del 2009.
La causa dell’Infarto Miocardico Acuto (I.M.A.) del paziente P.N.
I grassi hanno una conformazione biochimica di struttura molto delicata, facilmente alterabile, ma la loro conformazione è stata da sempre la loro caratteristica principale, poiché è stata su di essa, e in particolare su quella dei grassi liquidi naturali Omega-3, Omega-6 e alcuni tipi di Omega-9 di tipo liquido (Acido oleico), che si è costruita l’Evoluzione delle specie viventi sul nostro pianeta negli ultimi 600 milioni di anni, cioè dopo il passaggio dagli organismi unicellulari a quelli pluricellulari: un passo evolutivo decisivo, ma che comportò fatalmente la necessità di sviluppare un sistema circolatorio efficace per il trasporto delle sostanze nutritizie a miliardi di cellule.
Un sistema di trasporto e di distribuzione molto complesso e delicato, che fin da allora si era dovuto basare su particolari macro-molecole a base di Colesterolo, cosiddette a bassissima densità (Very Low Density Lipoprotein, VLDL), a bassa densità (Low Density Lipoprotein, LDL), ed ad alta densità (High Density Lipoprotein, HDL), e che dovevano essere in grado di legarsi perfettamente a questi preziosissimi grassi liquidi.
Essi vengono solo in parte sintetizzati dagli organismi animali superiori, come ad esempio alcuni Omega-9, come l’Acido oleico.
Nella maggior parte dei casi gli organismi pluricellulari di tipo animale, che vanno dai pesci fino ai mammiferi, devono attingerli dall’ambiente esterno, e cioè dal Fito-plancton che, fin da allora, cioè più di 600 milioni di anni fa, produceva questi particolari grassi liquidi vitaminici: gli Omega-3, gli Omega-6 e alcuni tipi di Omega-9 di tipo liquido.
Accanto però a questi particolari grassi insaturi, tutti di aspetto liquido, e a cui noi diamo anche il nome di “olii”, la Natura produsse fin dalle origini della Vita anche i cosiddetti grassi saturi, questi ultimi di aspetto solido, fra cui molti Omega-9, e che noi oggi classifichiamo in grassi saturi a catena media e in grassi saturi a catena lunga.
Nell’ultimo secolo sono stati però creati nuovi grassi, di aspetto solido, che pur avendo al loro interno una struttura simile a quella dei grassi insaturi, essendo stati derivati da essi, hanno purtroppo caratteristiche fisiche esterne molto diverse da quelle dei grassi liquidi naturali come gli Omega-3, gli Omega-6 e alcuni tipi di Omega-9, caratteristiche che, se da un lato li rendono adatti alla grande industria alimentare, poiché risultano sostanzialmente inalterabili dall’ambiente esterno, nascondono però particolari caratteristiche biochimiche che non si adattano alla nostra antichissima Biochimica cellulare, vecchia di almeno 600 milioni di anni.
Questi nuovi grassi, del tutto “innaturali” vengono prodotti attraverso una modificazione artificiale fatta dall’Uomo: l’idrogenazione, da cui deriva il loro nome comune di “grassi idrogenati” o “ parzialmente idrogenati”.
Come vedremo più avanti, questi grassi sono particolarmente tossici, soprattutto per il cuore, poiché determinano processi infiammatori cronici e continuativi nel circolo ematico, rendendo così possibile il distacco di emboli da placche ateromatose anche se inferiori al 50% del diametro del vaso coronarico.
Dobbiamo quindi affrontare, sia pure brevemente, gli aspetti biochimici della formazione delle placche di aterosclerosi sulle pareti arteriose dell’apparato cardio-circolatorio, primo movens del successivo instaurarsi delle grandi patologie cardio-vascolari, che vanno dall’Ipertensione arteriosa all’Infarto Miocardico Acuto, all’Ictus cerebrale, all’Insufficienza Renale Cronica.
Descriveremo poi i grassi naturali insaturi (liquidi) Omega-3, Omega-6 e alcuni tipi di Omega-9 di tipo liquido (Alido oleico e vaccenico); i grassi naturali saturi (solidi) e i grassi idrogenati.
L’Aterosclerosi
Il Colesterolo è legato ai grassi contenuti nella cosiddetta Lipoproteina a Bassa Densità (Low Density Lipoproteins, LDL), e contribuisce enormemente alla percentuale di morti che si hanno nei pazienti affetti da Diabete di Secondo Tipo (Goh YK: Effect of omega-3 fatty acid on plasma lipids, cholesterol and lipoprotein fatty acid content in NIDDM patients, Diabetologia, 40, pp: 45-52, 1997 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9028717 ) nei diversi fenomeni di patologie cardio-vascolari che ne derivano, ma tutte dovute, come primo movens, all’instaurarsi dell’Aterosclerosi.
Il meccanismo con cui viene a crearsi l’Arteriosclerosi è sostanzialmente un quadro patologico descrivibile come la deposizione sulle pareti vascolari di placche giallastre (Ateromi) costituite dalle molecole di Colesterolo ossidato delle Lipoproteine a Bassa o Bassissima Densità (LDL o VLDL) che, fagocitate dai macrofagi, cominciano a formare dei grumi giallastri di incrostazione, aventi le caratteristiche forme di “cellule schiumose”, sulle delicatissime pareti dell’Endotelio vascolare, determinando tutta una serie di eventi a cascata, fra cui l’iniziale perdita di sintesi da parte delle cellule endoteliali dell’Acido nitrico, l’indurimento della parete (con insorgenza di Ipertensione), fino ad evolvere nelle gravi conseguenze del distacco di parete di questi grumi trombotici, con ostruzione possibile di arterie (Infarto Miocardico Acuto, Ictus cerebrale, etc…).
Ciò avviene quindi per via delle Lipoproteine a Bassa Densità (Low Density Lipoproteins, LDL) indicate sopra che, se ossidate, cioè adulterate nella composizione dei grassi che le costituiscono, precipitano lungo le pareti dei vasi sanguigni che compongono l’immensa rete circolatoria dell’organismo, dando luogo ai successivi eventi patologici “a cascata” sommariamente descritti sopra.
Questi grassi che possono ossidarsi nel sangue, e quindi precipitare lungo le pareti dei vasi sanguigni, erano in genere, in passato, soltanto gli Omega-3 e gli Omega-6, e tale ossidazione poteva avvenire soltanto se assunti in proporzione fortemente sbilanciata fra loro, cioè con forte predominanza degli Omega-6, e soprattutto se assunti in forte carenza di vitamine anti-ossidative come i Tocoferoli (vitamina E) o i Carotenoidi.
Oggi, purtroppo, con l’introduzione dei grassi idrogenati, abbiamo fondati motivi di ritenere che quanto descritto in questo capitolo sia purtroppo un fatto molto comune nella nostra popolazione, e quindi la prima causa dell’Ipertensione arteriosa, dell’Infarto Miocardico Acuto e dell’Ictus cerebrale.
L’insorgenza delle malattie cardio-vascolari è, ovviamente, multifattoriale, poichè i suoi meccanismi evolutivi associati all’Infarto Miocardico Acuto e all’Ictus cerebrale riconoscono anche altre cause, non necessariamente ricollegabili unicamente all’Aterosclerosi, come ad esempio l’abitudine al fumo, cioè al Tabagismo (Heitzer T: Cigarette smoking potentiates endotheilial dysfunction of forearm resistance vessels in patients with hypercholesterolemia, Circulation, 93, pp: 1346-1353, 1996; http://circ.ahajournals.org/cgi/content/short/93/7/1346).
Tuttavia, vi sono dati fondamentali che dimostrano come lo stress ossidativo, indotto proprio dalla deposizione dei grassi liquidi poli-insaturi ossidati Omega-3 ed Omega-6 sulle delicatissime pareti dell’Endotelio vascolare, sia la componente fondamentale nella genesi di questa malattia (Diaz MN.: Mechanisms of disease. Antioxidants and atherosclerotic heart disease, N.Engl.J.Med., 337, pp.. 408-417, 1997 ; Greenberg ER.: Antioxidant vitamins, cancer, and cardiovascular disease, N.Engl.J.Med., 334, pp.: 1189-1190, 1996).
E’ stato verificato che le Lipoproteine a Bassa Densità (Low Density Lipoproteins, LDL) siano soggette allo stress ossidativo se non protette dalle importantissime vitamine antiossidanti come i Carotenoidi e i Tocoferoli.
La sostanza tossica che fa ossidare le LDL è il Tiolattone di Omocisteina, un composto ciclico che deriva dall’ossidazione spontanea della stessa Omocisteina.
Se l’Ossido nitrico ed altri anti-ossidanti presenti nel sangue, come il Glutatione e la vitamina C, sono presenti in basse quantità, per errori alimentari o per concomitante intossicazione cronica da Tabagismo, o da inquinamento chimico-tossico da altre fonti, o da gravi patologie infiammatorie concomitanti, verranno allora a crearsi le premesse di base per il danno endoteliale diretto, cioè l’ossidazione in piena corrente sanguigna dei grassi contenuti all’interno delle Lipoproteine a Bassa Densità (LDL), con loro successivo deposito sulle pareti dell’apparato cardio-circolatorio e loro fagocitosi da parte di particolari globuli bianchi presenti naturalmente sulla parete vasale delle arterie e delle vene (Welch GN: Mechanisms of disease: Homocysteine and atherothrombosis, N.Engl.J.Med., 338, pp.: 1042-1050, 1998).
Dobbiamo quindi, a questo punto, vedere meglio la mirabile complessità con cui la Natura ha saputo costruire, fin dai primordi della Vita, questa particolarissima molecola, trasportatrice dei pericolosissimi, ma vitali, grassi vitaminici Omega-3, Omega-6, e alcuni tipi di Omega-9 liquidi (Acido oleico e vaccenico), che è la Lipoproteina a Bassa Densità (Low Density Proteins, LDL), meglio conosciuta con il nome assolutamente improprio di Colesterolo “cattivo”.
L’incremento nel sangue di questo Colesterolo “Cattivo”, cioè delle Lipoproteine a Bassa Densità (LDL), potrebbe essere una conseguenza di eccessivo accumulo di grassi nel sangue.
Alcuni soggetti dimostrano elevati valori delle Lipoproteine a Bassa Densità (LDL), noto appunto come Colesterolo “cattivo” e bassi valori di Lipoproteine ad Alta Densità (HDL), il cosiddetto Colesterolo “buono”, e la cui azione è quella di ripulire le pareti artero-venose dagli accumuli patologici di Colesterolo “cattivo” ossidato.
In realtà, ciò che risulta essere importante sono i valori ematici delle vitamine che aiutano sia le Lipoproteine a Bassa Densità (LDL) che quelle a Bassissima Densità (VLDL) a non ossidarsi.
Per prima cosa, bisogna infatti ricordare che all’interno di ogni macro-molecola (letteralmente: “grande molecola”) di LDL ci sono 1.700 molecole di esteri di Colesterolo e 700 molecole di Colesterolo libero.
Sono anche presenti 6 molecole di vitamina E alfa-Tocoferolo e altri Tocoferoli della vitamina E come, ad esempio, il gamma-Tocoferolo: queste vitamine antiossidanti sono importantissime perché proteggono le LDL dai danni della ossidazione lipidica: questa infatti non può avvenire fino a quando il contenuto ematico di alfa-Tocoferolo non sia stato esaurito completamente.
Infatti, la macro-molecola LDL subisce un’accelerazione di danno che diventa lineare a partire dal momento in cui tutte le vitamine antiossidanti di tipo liposolubile, come ad esempio i Tocoferoli o i Carotenoidi, si siano effettivamente esauriti.
Un aumento del contenuto di alfa-Tocoferolo prolunga quindi la durata della protezione per le particelle di LDL.
Anche la vitamina C, se presente in buone quantità, contribuisce alla difesa anti-ossidativa, ricostituendo l’alfa-Tocoferolo di superficie delle Lipoproteine a Bassa Densità (Esterbauer H.: The role of lipid peroxidation and antioxidants in oxidative modification of LDL, Free Radic Biol. Med., 13, pp.. 341-390, 1992 ; Esterbauer H.: Continuous monitoring of in vitro oxidation of human low density lipoprotein, Free Radic Res. Commun., 6, pp.. 67-75, 1989 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2722022 ; Palozza P.: Beta carotene and alpha tocopherol are synergistic antioxidants, Arch. Biophys. Biochem, 297, pp.. 184-187, 1992; Palozza P.: The inhibition of radical-initiated peroxidation of microsomal lipids by both alpha tocopherol and beta carotene, Free Radical Biol. Med., 11, pp.: 401-414, 1991).
Come già riportato in letteratura medica, in circostanze normali le cellule dell’organismo assorbono le singole particelle lipoproteiche, ricche di grassi delle LDL, attraverso il normale fenomeno della Endocitosi (letteralmente: introduzione all’interno della cellula), al ritmo di una macro-molecola di LDL alla volta.
Tuttavia, se ossidate in gran numero, le LDL diventano improvvisamente pericolosi aggregati di corpi estranei che sono fagocitati dai macrofagi endoteliali, particolari globuli bianchi facenti parte delle pareti artero-venose, creando così grandi concentrati di “cellule schiumose” giallastre sulle pareti delle arterie.
Quando queste ultime muoiono, producono detriti cellulari e contenuti lipidici tossici concentrati al centro di questa vera e propria lesione evolutiva della parete vasale, denominata in Medicina come “Placca vulnerabile”, costituita da questi grumi giallastri che ricoprono la delicatissima parete endoteliale.
La rottura di questa “Placca vulnerabile“, se presente in un’arteria importante del Cuore (Coronaria), fenomeno che può avvenire per i motivi più vari, produrrà la cosiddetta “Trombosi coronaria” con possibile Infarto Miocardico Acuto e/o morte improvvisa per Arresto cardio-circolatorio (Loscalzo J.: The oxidative stress of hyperhomocysteinemia, J.Clin.Invest., 196, pp.: 5-7, 1998; Ribaya-Mercado J.D.: Skin lycopene is destroyed preferentially over beta-carotene during ultraviolet irradiation in humans, J.Nutr., 125, 125, pp.: 1854-1859, 1995 ; Weisburger JR.: Dietary fat and risk of chronic disease: mechanistic insights from experimental studies, J. Am. Diet. Assoc., 97, (Suppl.) S16-S23, 1997 http://www.adajournal.org/article/S0002-8223(97)00725-6/abstract ; Weissleder R., Detection of Pulmonary Emboli by Using MR Angiography with MPEG-PL-GdDTPA: An Experimental Study in Rabbits, “A.J.R.”, 162, pp. 1041-1046, 1994).
Molte vitamine naturali intervengono comunque a proteggere i delicatissimi tessuti vascolari: non solo la vitamina E (Dayuan LI: y-Tocopherol decreases OX-LDL-mediated activation of nuclear factor kB and apoptosis in human coronary artery endothelial cells, Biochemical and Biophysical Research Communications, 259, pp.: 157-161, 1999), ma anche, ad esempio, le Antocianidine, estremamente efficaci come fattori cardio-protettori, e di cui al Capitolo Quinto, in merito allo Scompenso cardiaco (Bagchi: Molecular mechsanism of cardioprotection by a novel grape seed proanthocyanidin extract, Mutation Research, 523-524, pp.: 87-97, 2003).
Come si vedrà più avanti, l’Acido oleico, il principale lipide degli Omega-9, pur non essendo una vitamina poiché prodotto dall’organismo umano, aiuta anch’esso a rendere le LDL resistenti all’ossidazione, riducendo così il rischio di Aterosclerosi (AA.VV.: How monounsaturated may save arteries, Science News, 1990, 367, June 9).
Diversi studi scientifici, fatti in questi ultimi due decenni, e che hanno coinvolto complessivamente circa 250.000 persone, hanno confermato definitivamente che un’alimentazione ricca di verdure e frutta, e quindi ricchissima di vitamine naturali anti-ossidanti, è in grado di ridurre di circa il 30% il rischio di malattie cardio-circolatorie, come l’Infarto Miocardico Acuto e l’Ictus cerebrale (Jacobs D.: Ehole grain products may reduce the risk of ischemic heart disease death in women: the Iowa Women’s Health Study, Am. J. Clin. Nutr., 68, pp: 248-257, 1998; Liu S.: Whole grain consumption and the risk of ischemic stoke in women. A prospective study, JAMA, 284, pp: 1534-1540, 2000; Pietinen P.: Intake of dietary fiber and the risk of CHD in a cohort of Finnish men: the alpha-topherol, beta carotene cancer prevention study, Circulation 94, pp: 2720-2727, 1996; Rimm E.: Vegetable, fruit and cereal fiber and the risk of coronary heart disease among men, JAMA, 275, pp: 447-451, 1996 ; Stampfer M.: Long-term intake of dietary fiber and decreased risk of coronary heart disease among women, JAMA, 281, pp: 1998-2004, 1999)
Altri Studi hanno spiegato questo fatto dimostrando che l’assunzione di fibre vegetali determina un netto calo dei livelli di Colesterolo a Bassa Densità (LDL) e di Colesterolo Totale (Brown L.: Cholesterol-lowering effects of dietary fiber; a meta analysis, Am. J.Clin.Nutr., 69, pp: 30-42, 1999).
Gli Omega-3, Omega-6 e la Vitamina E
Gli Omega-6 e gli Omega-3 sono i più delicati come struttura molecolare, perché tendono facilmente ad ossidarsi, soprattutto se in carenza dei sette tipi di Tocoferoli (vitamina E) che li proteggono normalmente dall’ossidazione; si è scoperto infatti che l’assunzione anche di una sola dose giornaliera di 100-400 milligrammi di vitamina E è in grado di ridurre di circa 1/3 il numero dei morti, che avvengono ogni anno, per Infarto Miocardico Acuto (Losonczy K.: Vitamin E and vitamin C supplement use and the risk of all cause coronary heart disease mortality in older persons, Am. J. Clin. Nutr., 64, pp: 190-196, 1996; Rimm E.: Vitamin E consumption and the risk of coronary heart disease in men, N.Engl. J. Med., 328, pp: 1450-1456, 1993 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8479464 ; http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJM199305203282004 ; Stampfer M.: Vitamin E consuption and the risk of coronary heart disease in women, N. Engl. J. Med., 328, pp: 1444-1449, 1993 ; Stephens: Randomized controlled trial of Vitamin E in patients with coronary heart disease, Lancet, 347, pp: 781-786, 1996 ; Stephens NG.: Randomised controlled trial of vitamin E in patients with coronary disease: Cambridge Heart Antioxidant Study (CHAOS) , Lancet 347, pp: 781-786, 1996 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8622332 ).
Come già indicato sopra, sono soprattutto gli Omega-6 e gli Omega-3 ad avere necessità di essere protetti dall’ossidazione e, in questo, grande importanza riveste la vitamina E.
Questa vitamina, liposolubile, è composta da un gruppo di diversi componenti, chiamati Tocoferoli: in natura esistono 7 di questi tipi: alfa, beta, gamma, delta, epsilon, theta, ed eta.
L’alfa-Tocoferolo presenta un effetto anti-ossidante sulle membrane lipidiche, svolgendo azione preventiva sull’ossidazione delle membrane cellulari indotta dall’Ossigeno.
L’olio crudo di Triticum sativum (Grano) contiene circa il doppio di vitamina E rispetto all’olio crudo di semi di Helianthus annuus (Girasole), e quest’ultimo ne contiene circa 5 volte di più rispetto all’olio d’Oliva crudo.
La capacità anti-ossidativa della vitamina E di tipo naturale è comunque superiore a quella della vitamina E ottenuta chimicamente dall’industria farmaceutica; ad esempio, Dracontium loretense, ritenuta come una delle migliori piante per potere anti-ossidante specifico, misura una capacità anti-ossidante ben superiore a quello della vitamina E sintetica.
Essa, sostanzialmente, protegge i grassi insaturi liquidi, contenuti nelle LDL, dalla ossidazione: in uno Studio fatto nel 1999 su 80.000 donne, si vide che il rischio di Infarto Miocardico Acuto calava a valori del 40% se queste assumevano solo Omega-3.
Ma se queste pazienti aggiungevano anche vitamina E, il rischio di Infarto Miocardico Acuto scendeva fino al 60-70% circa (Hu F.: Dietary intake of alpha-linolenic acid and risk of fatal ischemic heart disease among women, Am. J. Clin. Nutr., 69, 890-897, 1999).
Una mezza dozzina di studi scientifici internazionali ha in seguito documentato che il grado di ossidazione dei grassi liquidi insaturi Omega-3 trasportati dalle LDL è inversamente proporzionale alla quantità di vitamina E presente sulle LDL (Pryor WA: Vitamin E and heart disease: basic science to clinical intervention trials, Free Radic Biol. Med., 2000, 28, pp: 141-164, 2000 http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0891584999002245).
Nel caso invece di sola assunzione di vitamina E, senza Omega-3, il rischio di Infarto Miocardico Acuto calava a circa il 40%: questo almeno dal lavoro di Rimm, durato per circa 10 anni e condotto su circa 90.000 donne (Rimm E.: Vitamin E consumption and the risk of coronary heart disease in men, N.Engl. J. Med., 328, pp: 1450-1456, 1993 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8479464 ; http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJM199305203282004); tale risultato fu simile anche a quello ottenuto nel caso di 12.000 uomini, seguiti per un periodo di tempo quasi simile (Losonczy K.: Vitamin E and vitamin C supplement use and the risk of all cause coronary heart disease mortality in older persons, Am. J. Clin. Nutr., 64, pp: 190-196, 1996).
Su 5.000 donne, invece, seguite per 12 anni, il rischio di Infarto miocardio acuto scendeva invece solo del 30% circa (Knekt P.: Am. J. Epidemiology, 139, pp: 1180, 1994 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8209876), e in un altro lavoro, condotto su circa 40.000 uomini, e durato solo 4 anni, la sola assunzione di vitamina E, senza Omega-3, riduceva il rischio di Infarto Miocardico Acuto a circa il 30% (Pocock S.: Predictors of mortality and morbidity in patients with chronic heart failure, Eur. Heart J. 2006, 27, pp: 65-75, 2006).
In sostanza, secondo Rimm, basterebbero 100 milligrammi al giorno di vitamina E per ridurre il rischio di Infarto Miocardico Acuto del 30-40% circa (Rimm E.: The role of antioxidants in preventive cardiology, Curr. Opin. Cardiol., 12, pp: 188-194, 1997).
I grassi saturi
I grassi saturi sono normalmente allo stato solido.
Grassi saturi sono ad esempio l’Acido caprilico, laurico, miristico, palmitico, stearico, arachico, behenico, lignocerico e quello esa-cosanoico.
L’Acido stearico viene convertito dal Fegato in Acido oleico.
L’Acido laurico, miristico e palmitico, se assimilati in grandi quantità, sono aterogeni per le pareti artero-venose, cioè aiutano fortemente l’instaurarsi di grumi di Colesterolo sulle pareti dei vasi.
L’Acido palmitico sembrerebbe però aumentare i valori del Colesterolo “buono” HDL, ma non è chiaro in base a quale meccanismo fisiologico o fisio-patologico; si propenderebbe per l’ipotesi che ciò avvenga sulla base di un’attività regolatoria compiuta proprio da parte del Fegato perché mirata ad eliminare dalle pareti artero-venose le macro-molecole ossidate di LDL, ma non sappiamo in base a quale segnale ormonale rilasciato dalle pareti artero-venose.
In particolare, da due Studi di Sudram (Sundram K: Trans (elaidic) fatty acids adversely impact lioprotein profiles relative to specific saturated fatty acids in humans, J. Nutr., 127, 514S-520S, 1997 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9082038 ; Sundram K: Replacement of dietary fat with palm oil: effect on human serum lipids, lipoproteins and apolipoproteins, Br. J. Nutr., 68, pp: 677-692, 1992) si è visto che la Lipoproteina A, associata a mortalità cardio-vascolare, e che si riteneva dovuta a predisposizione genetica, in realtà diminuisce o resta stabile nel sangue in seguito ad alimentazione con grassi saturi naturali, come l’Acido palmitato, contenuto ad esempio nell’olio di Palma.
L’Acido stearico, invece, provoca la diminuzione nel sangue dei valori del Colesterolo “buono” HDL, ma anche in questo caso non è chiaro in base a quale meccanismo.
L’Acido laurico, miristico e palmitico innalzano comunque i valori del Colesterolo cattivo “LDL”: sono impiegati dall’organismo come fonte energetica, ma possono essere anche utilizzati nella formazione delle membrane cellulari nel qual caso, però, sono più dannosi che utili.
In merito alla questione del danno di parete alle arterie (Aterosclerosi), essi rischiano di intasare il sistema cardio-vascolare, depositandosi sulle pareti arteriose e venose dell’organismo che però è ancora in grado di smaltirli se le loro quantità sono basse e se si dispone di vitamine capaci di far produrre al Fegato quantità sufficienti di Colesterolo “buono” HDL.
Infatti, se vengono assunti dalla dieta in quantità eccessiva, rendono impossibile al Colesterolo “buono”, cioè alle Lipoproteine ad Alta Densità (HDL), l’asportazione delle Lipoproteine a Bassa Densità (LDL) ossidate dalle pareti vascolari (arterie, arteriole, capillari, venule e vene), determinando così l’instaurarsi dell’Aterosclerosi e dell’Ipertensione arteriosa e poi, successivamente, dell’Infarto miocardico acuto, o dell’Ictus cerebrale….
Si può affermare quindi che i grassi saturi favoriscano l’insorgenza delle malattie cardio-vascolari e dell’Ipertensione, a causa della loro deposizione lungo le pareti artero-venose. Il loro peso effettivo nell’insorgenza di queste patologie dev’essere ritenuto, però, inferiore a quello dei grassi idrogenati.
I Grassi idrogenati
I grassi idrogenati sono comparsi nell’alimentazione umana all’inizio del secolo scorso, e hanno dimostrato di incrementare notevolmente l’incidenza dell’Obesità e delle patologie ad essa correlata come il Diabete Mellito di Secondo Tipo, l’Ipertensione e le altre patologie cardio-vascolari come l’Infarto miocardico acuto, o l’Ictus cerebrale.
L’idrogenazione dei grassi insaturi venne introdotta nel 1912 allo scopo di rendere solidi, e quindi commerciabili, i grassi liquidi, rendendoli così simili al burro o allo strutto, che tendono a non guastarsi facilmente, ma che risultano essere più costosi.
Questi nuovi tipi di grassi furono ottenuti da un processo industriale noto appunto come “idrogenazione” degli olii, poiché condotto riscaldando i grassi liquidi insaturi per diverse ore a temperature di circa 160-240 gradi Celsius, e facendovi passare attraverso ioni idrogeno, allo scopo di solidificarli fino ad ottenere una sorta di crema burrosa, poco adulterabile anche se esposta al sole e all’aria esterna.
In questo modo si sono ottenute delle creme spalmabili, che tendono a durare molto più a lungo del normale, senza guastarsi a causa dei normali processi di ossidazione dovuti all’Ossigeno presente nell’aria, o ai germi che le renderebbero altrimenti rancide e disgustose da mangiare; in tal modo esse rimangono solide alla normale temperatura ambiente, e spalmabili come il buon burro di una volta…
I grassi idrogenati garantiscono così che il cibo possa conservarsi per mesi nella propria simpatica confezione colorata, a sua volta riposta, bene in vista, nello scaffale di vendita del supermercato rionale di zona, o giacere per mesi nei magazzini, senza mai rovinare minimamente il proprio gusto, anche se dovesse batterci sopra il sole…
Questo fatto di renderli durevoli nel tempo sembrò un buon sistema, ma purtroppo l’alterazione biochimica che ne seguì, pur rendendo commerciabili questi grassi, in realtà determinò la diffusione lungo le catene alimentari americane ed europee di grassi assolutamente innaturali e quindi tossici (Mann G.: Metabolic consequences of dietary trans fatty acids, The Lancet Vol. 343, PP: 1268-1271, 1994
http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(94)92157-1/abstract ).
Per gli sportivi, o i salutisti, o comunque per tutte le persone abituate a mangiare sempre e soltanto cibo sano e genuino, è comune la constatazione che l’occasionale spuntino di creme o dolci “industriali” determinano sempre, immancabilmente, la comparsa improvvisa della classica ciambella di grasso attorno ai fianchi entro 48 ore dallo “strano e assolutamente occasionale” spuntino fuori dal consueto, che si era deciso di mangiare per “prova”, attirati da quella strana crema, “buona e saziante”, che infarciva abbondantemente il dolce…
I grassi idrogenati vengono impiegati per le Margarine, per i prodotti da forno di tipo industriale come pastine, crostini, biscotti, merendine, dolcetti, impasti di pasta sfoglia, pietanze precotte, pollo o pesce già impanato, pronti per essere cotti in padella, patatine fritte, surgelate o meno, pizze già pronte, in genere già surgelate, e soprattutto Margarine di vario tipo; così abbiamo minestre in scatola, miscele pronte per le torte, prodotti da forno, tutte delizie per il palato che non irancidiscono con il tempo, né alterano il loro buonissimo sapore, e che conferiscono consistenza solida persino alle tavolette di cioccolato…
Si è assistito negli ultimi anni ad una riduzione delle quantità di grassi idrogenati contenuti in questi cibi già pronti e confezionati dall’industria alimentare, ma purtroppo la percentuale di questi grassi presenti rimane ancora molto alta, raggiungendo nelle Margarine, ad esempio, anche valori del 20-40% (Innis SM: Variability in the trans fatty acid content of foods within a food category: implications for estimation of dietary fatty acid intake, J.Am. Col. Nutr., 18, pp: 255-260, 1999 ; Ito S.: Urinary copper excretion in type 2 diabetic patients with nephropaty, Nephron, 88, pp: 307-312, 2001; Precht D.: Recent trends in fatty acid composition of German sunflower margarines, shortenings and cooking fats with emphasis on individual trans-isomers, Nahrung, 44, pp: 222-228, 2000 http://cat.inist.fr/?aModele=afficheN&cpsidt=1468668).
Volendo approfondire meglio questi dati, valga quanto segue:
Per i petti di pollo impaniati, per le patatine fritte congelate, o per i sughi già pronti e conditi per gli arrosti, si può arrivare addirittura al 60% (Innis SM : Variability in the trans fatty acid content of foods within a food category: implications for estimation of dietary fatty acid intake, J.Am. Col. Nutr., 18, pp: 255-260, 1999 ; Ito S.: Urinary copper excretion in type 2 diabetic patients with nephropaty, Nephron, 88, pp: 307-312, 2001); per i crostini, i krapfen, i crakers, i biscotti, e i croissant confezionati, si può giungere anche al 45- 50% di grassi idrogenati (Innis SM : Variability in the trans fatty acid content of foods within a food category: implications for estimation of dietary fatty acid intake, J.Am. Col. Nutr., 18, pp: 255-260, 1999 ; Ito S.: Urinary copper excretion in type 2 diabetic patients with nephropaty, Nephron, 88, pp: 307-312, 2001) ; per le torte e per le tavolette di cioccolato si tocca il 30% circa (Innis SM : Variability in the trans fatty acid content of foods within a food category: implications for estimation of dietary fatty acid intake, J.Am. Col. Nutr., 18, pp: 255-260, 1999 ; Ito S.: Urinary copper excretion in type 2 diabetic patients with nephropaty, Nephron, 88, pp: 307-312, 2001); per la Margarina solida da cucina, o per le patatine fritte non surgelate, si può arrivare al 20% (Innis SM : Variability in the trans fatty acid content of foods within a food category: implications for estimation of dietary fatty acid intake, J.Am. Col. Nutr., 18, pp: 255-260, 1999 ; Ito S.: Urinary copper excretion in type 2 diabetic patients with nephropaty, Nephron, 88, pp: 307-312, 2001); per le famose creme al cioccolato spalmabili, ci si assesterebbe intorno al 10% di grassi idrogenati (Demmelmair H.: Trans fatty acid contents in spread and cold cuts usually consumed by children, Z. Ernahrungswissenschaft, 35, 235-240, 1996 http://www.springerlink.com/content/u312g83h03pnm231/ ).
Questi grassi idrogenati hanno conformazioni macro-molecolari molto diverse fra loro, e sono pericolosi per la nostra salute perché tali conformazioni, in genere, non sono adatte alla nostra delicatissima biochimica.
Purtroppo, una volta ingeriti, risultano essere totalmente sconosciuti agli enzimi digestivi dell’organismo e hanno quindi degli effetti comunque dannosi sulle molecole di Lipoproteine a Bassa Densità (LDL), o Colesterolo “cattivo”, che pertanto tenderanno ad ossidarsi rapidamente e a precipitare sulle delicatissime pareti artero-venose, determinando così i primi accumuli di grumi giallastri da LDL ossidato, e obbligando l’organismo a perdere gran parte del proprio Colesterolo “buono” HDL per tentare di ripulire le pareti artero-venose infarcite di grumi di grasso idrogenato.
Uno dei primi effetti del loro consumo è quindi l’aumento dei livelli di Colesterolo “cattivo” LDL e del calo, invece, dei livelli di Colesterolo “buono” HDL (Abbey M: Plasma cholesterol ester transfer protein activity is increased when trans-elaidic acid is substituted for cis-oleic acid in the diet, Atherosclerosis, 106, pp: 99-107, 1994 http://www.ncbi.nhm.nih.gov/pubmed/8018112 ; Mensink R.: Effect of dietary trans fatty acids on high-density and low-density lipoprotein cholesterol levels in healthy subjects, N. Engl. J. Med., 323, pp: 439-445, 1990 http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJM199008163230703), forse per via dei processi ossidativi a carico delle macro-molecole di LDL, in fase di precipitazione lungo tutte le pareti artero-venose: si avrà allora una caduta verticale della percentuale di grassi insaturi Omega-3 nel sangue, con conseguente soppressione della vitale Lipogenesi epatica (Blake W.: Suppression of hepatic fatty acid synthase and S14 gene transcription by dietary polyunsaturated fat, 120, pp: 1727-1729, 1990
http://jn.nutrition.org/cgi/content/abstract/120/12/1727).
Intanto, i grassi idrogenati si legheranno anche agli enzimi vitali della Desaturasi, interferendo così con aspetti critici della biochimica umana.
Tutto ciò ricalca il quadro già noto dei grassi saturi naturali, come già affermato nel luglio del 2002 dalla National Academy of Sciences e da altri due lavori, quello di Sundram e quello di Wood (Sundram K: Trans (elaidic) fatty acids adversely impact lioprotein profiles relative to specific saturated fatty acids in humans, J. Nutr., 127, 514S-520S, 1997 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9082038 ; Wood R: Effect of butter, mono- and polyunsaturated fatty acid-enriched butter, trans fatty acid margarine and zero trans fatty acid margarine on serum lipids and lipoproteins in healthy men, J.Lipid Res., 34, pp: 1-11, 1993 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8445333).
In merito però ai grassi saturi naturali, è doveroso affermare che due Studi di Sudram (Sundram K: Trans (elaidic) fatty acids adversely impact lioprotein profiles relative to specific saturated fatty acids in humans, J. Nutr., 127, 514S-520S, 1997 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9082038 ; Sundram K: Replacement of dietary fat with palm oil: effect on human serum lipids, lipoproteins and apolipoproteins, Br. J. Nutr., 68, pp: 677-692, 1992 ) avevano già dimostrato che la Lipoproteina A, associata a mortalità cardio-vascolare, e che si riteneva dovuta a predisposizione genetica, in realtà diminuisce o resta stabile nel sangue in seguito ad alimentazione con grassi saturi naturali, come ad esempio l’Acido palmitato, contenuto ad esempio nell’olio di Palma e, viceversa, aumenta nel sangue in seguito ad alimentazione ricca di grassi idrogenati (Koletzko B.: Metabolic aspects of trans fatty acids, Clinical Nutrition, 16, pp: 229-237, 1997
http://www.clinicalnutritionjournal.com/article/S0261-5614(97)80034-9/abstract Willett WC: Intake of trans fatty acids and risk of coronary heart disease among women, Lancet, 341, pp: 581-585, 1993
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/014067369390350P).
A livello metabolico, l’organismo non saprà come trasformare questi strani grassi “solidi” la cui struttura biochimica è assolutamente sconosciuta, ben diversa da quella degli Omega-3 degli Omega-6, e su cui si è costruita in 600 milioni di anni di Evoluzione la delicatissima struttura dei meccanismi fini di regolazione ormonale degli Eicosanoidi, e sulla quale si è basata la stessa Biochimica umana.
I grassi idrogenati, per via della loro struttura biochimica affine a quella dei grassi liquidi vitaminici Omega-3 ed Omega-6, verranno però scambiati per tali dalle cellule umane, e quindi impiegati dall’organismo per molteplici funzioni, fra cui quello delicatissimo degli Eicosanodi, ed essi bloccheranno così la trasformazione degli Omega-3 negli Eicosanoidi “buoni”, e saranno allora causa delle gravissime alterazioni aterosclerotiche delle pareti arteriose, venose e capillari della rete circolatoria umana…
Fin dal 1975, da un vecchio Studio del Galles, venne infatti osservato che maggiori erano le quantità di grassi idrogenati che si assumevano, maggiore risultava essere il rischio di contrarre le malattie cardiache (Thomas LH: Mortality from arteriosclerotic disease and consumption of hydrogenated oils and fats, Br. J. Prev. Soc. Med., 29, 82-90, 1975).
Oggi sappiamo che basta un incremento anche minimo, del 2-3% di grassi idrogenati di questo tipo, pari a meno di 40-50 kilo-calorie, per incrementare notevolmente il rischio delle malattie cardio-vascolari, oltre che di aumentare notevolmente il rischio di approdare al Diabete Mellito di Secondo Tipo, sulla base di una Obesità che trova nei grassi idrogenati, il suo primo movens (VEDI “Come affrontare il Diabete” Editoriale Programma Padova)
Ad esempio, in uno Studio condotto su oltre 20.000 soggetti che consumavano grassi idrogenati, il rischio di Infarto Miocardico Acuto risultò incrementato di circa il 40% (Pietinen P: Intake of fatty acids and risk of coronary heart disease in a cohort of Finnish men, Am. J. Epidem., 1454, pp.: 876-887, 1997).
Anche altri lavori hanno confermato tali rischi (Omen CM.: Association between trans fatty acid intake and 10 year risk of coronary heart disease in the Zupthen Elderly Study: a prospective population-based study, Lancet, 357, pp: 746-751, 2001 http://www.lancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(00)04166-0/fulltext), come ad esempio quello famoso di Ascherio, condotto per 14 anni su circa 80.000 donne, dimostrando anche qui un aumento del rischio di Infarto Miocardico Acuto del 36% (Ascherio A.: Trans fatty acids and coronary heart disease, New England Journal Medical, 340, pp: 1994-1998, 1998).
I grassi liquidi insaturi vitaminici, invece, come gli Omega-3, gli Omega-6 e alcuni Omega-9 liquidi come l’Acido oleico e vaccenico, sono fluidi, scivolosi e poco adesivi: questo per via della loro struttura molecolare, ripiegata su se stessa con molte angolature che rende praticamente impossibile accostarli o accatastarli l’uno sull’altro, come mattoni o grumi di materiale vario.
Le singole molecole lipidiche di Omega-3, di Omega-6 e di alcuni particolari tipi di Omega-9 come l’Acido oleico e l’Acido vaccenico, si respingono reciprocamente, e ciò evita che aderiscano alla parete delle arterie (base iniziale dell’Aterosclerosi), o che addirittura formino dei pericolosissimi Trombi, con coaguli improvvisi nelle Coronarie del Cuore (Infarto Miocardico Auto) o nelle arterie del circolo sanguigno a livello cerebrale (Ictus del cervello).
Questo spiega come, nel lungo Studio di Hu condotto su circa 80.000 donne, bastò togliere solo il 2% in meno dei grassi idrogenati per ridurre di oltre il 50% il rischio di malattie cardio-vascolari, fra cui l’Infarto Miocardico Acuto (AA.VV.: Dietary fat intake and the risk of coronary heart disease in women, N. Engl. J. Med., 337, pp: 1491-1499, 1997).
Sempre dallo Studio di Hu, si appurò che l’invecchiamento delle arterie era direttamente proporzionale alle quantità di grassi idrogenati introdotti con l’alimentazione e quindi al tasso di usura sulle pareti arteriose risultante dai grassi idrogenati presenti nel loro sangue.
In sostanza, molti Studi scientifici internazionali hanno chiaramente dimostrato come i grassi idrogenati siano direttamente collegati al rischio d’insorgenza delle malattie cardio-vascolari.
In merito ai grassi idrogenati, della fine degli anni ’90 si evidenziava quanto segue: in uno Studio osservazionale americano condotto su 20.000 uomini, iniziato nel 1991 e terminato nel 1997, si denunciò l’incremento di circa il 40% delle cause di morte da Infarto miocardico acuto nei soggetti che consumavano quantità più alte di grassi idrogenati, rispetto a coloro che ne assumevano le quantità più basse (Pietinen P: Intake of fatty acids and risk of coronary heart disease in a cohort of Finnish men, Am. J. Epidem., 1454, pp.: 876-887, 1997).
In un piccolo Studio, questa volta inglese, iniziato anch’esso nel 1991, e durato circa 10 anni, condotto su appena 700 pazienti inglesi, si appurò comunque che un incremento alimentare di grassi idrogenati aumentava enormemente il rischio d’insorgenza di malattie cardio-vascolari, patologie che salivano già al 30%, e addirittura del 100% in coloro che si alimentavano liberamente con grassi idrogenati in quantità molto più alta rispetto a quel numero di pazienti che mangiavano invece le quantità più basse possibili (Omen CM.: Association between trans fatty acid intake and 10 year risk of coronary heart disease in the Zupthen Elderly Study: a prospective population-based study, Lancet, 357, pp: 746-751, 2001 http://www.lancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(00)04166-0/fulltext).
Nel 2003, trentaquattro persone con malattia ischemica cardiaca e sottoposti a bypass aorto-coronarico vennero confrontati con altre quarantasei che NON avevano malattia cardio-vascolare; si studiò il loro grasso sottocutaneo, per vedere se in questi pazienti vi erano quantità apprezzabili di grassi idrogenati, e si vide che nei pazienti con malattia cardio-vascolare vi era, effettivamente, un’elevata percentuale di grassi idrogenati (Dlouhy P: Higher content of 18:1 Trans fatty acids in subcutaneous fat of persons with coronarographically documented atherosclerosis of the coronary arteries, Annals of Nutrition and Metabolism 47, pp: 302-305, 2003).
Anche un grande Studio, come quello pubblicato nel 1996, e che aveva coinvolto oltre 40.000 persone, e che era durato circa 5 anni, dimostrò che un incremento alimentare anche solo del 2% in più di grassi idrogenati comportava un notevole aumento delle patologie cardio-vascolari, pari a circa il 36 % (Ascherio A.: Dietary fat and the risk of coronary heart disease in men: fallow-up study in the US, B.M.J., 313, pp: 84-90, 1996
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8688759 ).
I cibi contenenti grassi idrogenati sono ormai tantissimi….
E’ permessa la diffusione gratuita, purchè senza modifiche o alterazioni di sorta.
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Giuseppe Nacci, Medico Chirurgo, Specialista in Medicina Nucleare.
Studio Medico: Via Machiavelli 10, 34132 Trieste
Curriculum Vitae:
GIUSEPPE NACCI nasce a Trieste nel 1964. Laureatosi in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Trieste con la tesi: “L’Immuno-Scintigrafia nella diagnosi tumorale”, vince una Borsa di studio e frequenta il Servizio di medicina nucleare del Prof. Ferruccio Fazio, dell’Istituto Scientifico dell’ospedale San Raffaele di Milano.
La sua attività presso il San Raffaele, intervallata da funzioni di ricerca presso il Dipartimento di Medicina Nucleare dell’Istituto Europeo di Oncologia del Prof. Umberto Veronesi, gli ha fornito la particolare specializzazione inerente la Radio-Immuno-Terapia (R.I.T.) con anticorpi monoclonali.
Nel maggio 2000 Giuseppe Nacci pubblica, con il sostegno editoriale della Fondazione Callerio Onlus-Istituto di Ricerche Biologiche di Trieste, il libro ”La Terapia dei tumori con Gadolinio 159 in Risonanza Magnetica Nucleare” (671 pagine).
Nell’agosto del 2002 la rivista scientifica “Minerva Medica” ospita un suo “review” sugli “Effetti biologici di un’esplosione nucleare”, che introduce un nuovo sistema in scala colorimetrica dei danni provocati dal “Fall out“ radioattivo sulla popolazione civile.
Nel maggio del 2006 la rivista americana della Gerson Institute di San Diego (California) pubblica un suo lavoro sull’estrema pericolosità degli Organismi Geneticamente Modificati.
Nell’ottobre 2006 pubblica il libro “Diventa Medico di te stesso” che, il 30 ottobre 2007, viene premiato del SIGILLO TRECENTESCO da parte della Città di Trieste, in riconoscimento del suo appassionato impegno nello studio e nella ricerca scientifica.
Il 20 novembre 2007 presenta lo stesso libro presso il Policlinico Militare “Il Celio” di Roma, con diversi casi clinici, alla presenza delle massime Autorità della Sanità Militare Italiana.
Il 30 ottobre 2008 questo stesso libro viene anche premiato dal sindaco di Padova del SIGILLO DELLA CITTÀ, ricevendo poi, nell’Aula Magna Galileo Galilei dell’Università di Padova, dal Magnifico Rettore e dal Senato Accademico, il Premio “Città di Padova 2008”.
Dall’ottobre del 1998 a dicembre 2007, è stato il Dirigente del Servizio Sanitario Regionale del Corpo della Guardia di Finanza del Friuli Venezia Giulia.
Nel febbraio 2011 ha conseguito il Master di Secondo Livello presso la Facoltà di Farmacia dell’Università Statale degli Studi di Siena, con la tesi “DODICI Casi Clinici di Terapia Metabolica”.
Aprile 2011: “Centrali nucleari. Chernobyl, Krsko, Fukushima. E dopo ? – Conoscere il passato per preservare il futuro”: una rigorosissima analisi, in chiave scientifica, sulla sicurezza ed i rischi, sulla popolazione, delle radiazioni nucleari. Editoriale Programma s.r.l. Padova.
Roma, 3 luglio 2012: finalista “Premio Sibilla 2001”, con il libro “Come affrontare il Diabete”, Editoriale Programma s.r.l. Padova. Premio letterario sulla Salute, promosso dall’Osservatorio Sanità e Salute, e patrocinato dal Ministro dei Beni Culturali, Regione Lazio, Provincia di Roma e Roma Capitale.
Ottobre 2012: “Guariti dal Cancro senza Chemio. Ventitrè casi clinici documentati di guarigione”, Editoriale Programma s.r.l, Padova.
Settembre 2013: Cancer Therapy. 23 Clinical Cases of Malignant Tumours cured without Chemo-Therapy, Editoriale Programma s.r.l, Padova.