La vitamina D è un ormone fondamentale per la salute del nostro organismo. Oltre ad essere un regolatore nel metabolismo del calcio e delle ossa, esercita anche una funzione immuno-modulante (migliora la risposta immunitaria dell’organismo): la vitamina D svolge un ruolo indispensabile anche per l’attivazione delle nostre difese immunitarie, senza di essa, le cellule T non sarebbero in grado di reagire e combattere le infezioni e i virus che attaccano l’organismo. La carenza di questa vitamina è associata, infatti, a un aumento delle infezioni in generale, soprattutto virali. Alcuni studi hanno dimostrato anche un’associazione tra carenza di vitamina D e rischio aumentato di diverse malattie, come cancro, malattie cardiovascolari e autoimmuni, morbo di Alzheimer, allergie, sclerosi multipla, obesità e riduzione del tono dell’umore.
Sebbene negli ultimi anni, un numero crescente di studi si è concentrato in particolare sulla relazione tra vitamina D e malattie cardiovascolari, il legame è ancora poco chiaro. Ad aver indagato la correlazione su larga scala, un recente studio condotto dai ricercatori dell’Australian Centre for Precision Health dell’University of South Australia Cancer Research. La ricerca, pubblicata sull’European Heart Journal, ha dimostrato, attraverso analisi genetiche, che le persone con carenza di vitamina D hanno maggiori probabilità di soffrire di malattie cardiache e pressione sanguigna più alta, rispetto a quelle con livelli sufficienti di vitamina D. Inoltre, nei soggetti con le concentrazioni più basse il rischio di malattie cardiache era più del doppio di quello osservato nei soggetti con concentrazioni sufficienti. “Alla luce di questi risultati – suggeriscono i ricercatori – una correzione dei livelli di vitamina D in soggetti carenti, attraverso l’alimentazione o integratori specifici, potrebbe ridurre l’incidenza a livello globale delle malattie cardiovascolari e l’onere di queste sulla sanità pubblica”.
Dove viene prodotta la vitamina D
Il 20% del nostro fabbisogno giornaliero di vitamina D proviene dall’alimentazione (pesce azzurro, tuorlo d’uovo, latte e formaggio) o dalla supplementazione, la restante parte (80%) viene prodotta dalla cute per effetto dei raggi UVB, e immagazzinata nel fegato e nel tessuto adiposo.
I livelli di vitamina D
Una carenza di vitamina D si verifica con valori inferiori a 10 ng/ml, una insufficienza dai 10 ai 30 ng/ml, e una tossicità oltre i 100 ng/ml. I valori che, invece, indicano un’ottimale concentrazione in un soggetto sano variano in media da 30 a 100 ng/ml.
Lo studio
Il team di ricercatori ha utilizzato informazioni relative a 267.980 persone provenienti da “UK Biobank” (un ampio studio prospettico che ha coinvolto oltre 500.000 partecipanti di età tra 37 e 73 anni reclutati da 22 centri di valutazione in tutto il Regno Unito tra il 2006 e il 2009 con l’obiettivo di migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento delle malattie di mezza età e vecchiaia) e messo in relazione i valori delle concentrazioni di vitamina D con gli eventi cardiovascolari e la mortalità. I partecipanti avevano compilato questionari per fornire informazioni sullo stato di salute e sugli stili di vita durante l’indagine di base e fornito campioni di sangue per biomarcatori e analisi genetiche.
Le informazioni raccolte sono state poi integrate con quelle delle cartelle cliniche elettroniche e i dati sulla mortalità. Sottogruppi di partecipanti hanno poi preso parte a uno studio di imaging multimodale, che ha previsto una risonanza magnetica cardiaca (CMR) e un’ecografia carotidea. Gli eventi cardiovascolari (CVD) sono stati, infine, identificati collegando i dati alle statistiche relative a episodi ospedalieri e ai dati sulla mortalità.
I risultati
Dai dati della Biobanca Britannica, è emerso che il 55% dei partecipanti ha concentrazioni basse di vitamina D, cioè <50 nmol/L (=20NG/ML), e il 13% ha una grave carenza (< 25 nmol/L). Analizzando le informazioni raccolte, i ricercatori hanno osservato che coloro che avevano concentrazioni più basse di vitamina D avevano un rischio cardiovascolare aumentato, rischio che si abbassava con valori intorno a 50 nmol/L (=20NG/ML). Ma, poiché i partecipanti alla UK Biobank sono più sani della popolazione in generale, è probabile che la reale prevalenza di un basso livello di vitamina D nella popolazione del Regno Unito sia più alta.
“Comprendere la connessione tra bassi livelli di vitamina D e CVD – spiegano i ricercatori – è particolarmente importante, data la prevalenza globale di questa malattia che uccide circa 17,9 milioni di persone all’anno. I nostri risultati suggeriscono che se aumentiamo in tutti i soggetti i livelli di vitamina D ad almeno 50 nmol/L, stimiamo che si potrebbe prevenire il 4,4% di tutti i casi di CVD. Inoltre, abbiamo osservato che, portando a livelli ancora maggiori i livelli di vitamina D, il rischio di CVD si riduce ulteriormente”.
L’integrazione di vitamina D riduce il rischio di infarto e ictus
Lo studio, quindi, dimostra un’associazione tra carenza di vitamina D ed eventi cardiovascolari, e suggerisce che la correzione dei livelli di questa vitamina potrebbe rappresentare una strategia economica ed efficace per ridurre la mortalità per infarti e ictus a livello globale. Se non si assume una sufficiente quantità di vitamina D attraverso il sole, “allora – suggeriscono i ricercatori – si deve integrare la vitamina con integratori specifici o attraverso l’alimentazione (assumendo in particolare da pesce azzurro, latte e latticini, uova, ecc), una soluzione economicamente vantaggiosa che potrebbe ridurre significativamente l’incidenza delle malattie cardiovascolari a livello globale”.
Fonte: https://www.today.it/